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Chemogenomica: il programma finanziato dal Piano Operativo Salute per la medicina personalizzata guidato dall’Università di Parma

Testare le cellule tumorali delle persone affette da patologie neoplastiche con una “libreria” di farmaci per individuare quelli potenzialmente più efficaci, e capire il motivo della sensibilità e della resistenza a un farmaco attraverso l’integrazione di tecniche genomiche e proteomiche. Questo l’obiettivo del tema selezionato dal Ministero della Salute nell’ambito della traiettoria 3, “Medicina rigenerativa, predittiva e personalizzata”, del Piano Operativo Salute (POS).

«Definirlo progetto è riduttivo: si tratta di un programma vero e proprio, con il quale cambia il paradigma di cura dove, oltre a questa, si contempla un percorso che deve integrare tanti livelli di informazione e che propone di superare i correnti limiti della medicina personalizzata in ambito oncologico, in particolare nelle malattie ematologiche neoplastiche», dice il Prof. Giovanni Roti, a capo del laboratorio di Ematologia Traslazionale e Chemogenomica “THEC” del Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Parma e Responsabile scientifico del programma, finanziato per un valore complessivo di 3.693.646,57 euro.

Il gruppo di ricerca del Prof. Giovanni Roti, Lab di Ematologia Traslazionale e Chemogenomica “THEC”

Il programma di ricerca e assistenza clinica “Chemogenomica funzionale per il futuro delle terapie personalizzate nelle neoplasie maligne”, coordinato dall’Università di Parma, vede come partner sono l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, l’Ematologia e il Centro di Trapianto di Midollo Osseo dell’Università di Perugia, l’Unità Operativa di Ematologia a Indirizzo Oncologico dell’AO Ospedali Riuniti Villa Sofia-Cervello di Palermo e il consorzio Cineca.

Questa è un’evoluzione del concetto di medicina personalizzata rispetto ad un passato in cui ci si immaginava di personalizzare la terapia, ma basandosi su informazioni statiche: la presenza o l’assenza di una mutazione genetica, ad esempio, un concetto che è rilevante e funziona se è effettivamente presente la mutazione. Con l’approccio basato sulla chemogenomica si valuta, invece, la risposta complessiva, si ragiona su un livello funzionale e sulla sensibilità delle cellule.

Un filone di ricerca che nasce nel 2018, dopo rientro nel 2017 dagli USA, dove il Prof. Roti ha studiato presso il Department of Pediatric Oncology, Dana-Farber Cancer Institute/Harvard Medical School di Boston e presso il BROAD Institute modelli di screening di target molecolari per nuovi farmaci attivi sulle leucemie acute.

Un’attività svolta solitamente su surrogati cellulari o modelli murini e che vede ora una transizione verso un metodo che consente un processo di automatizzazione meno costoso, grazie all’utilizzo di strumentazioni per HTS (High Throughput Screening).

Sono stati svolti studi concentrati su leucemie acute, di tipo linfoide e mieloide, su pazienti che non rispondono al trattamento standard, volti a valutare la sensibilità ad un certo farmaco e all’individuazione di molecole più promettenti in termini di effetti. Da esperienza di un singolo centro si è passati ad un vero e proprio trial clinico nazionale, supportato dalla fondazione GIMEMA (Gruppo Italiano Malattie Ematologiche dell’Adulto) e con l’obiettivo di fornire informazioni preziose per chi si trova in clinica. 

«In passato non c’era informazione oggettivabile: il clinico sapeva come si trattava la malattia o la recidiva, metteva in pratica un protocollo, ma non esisteva un’informazione sistematica e reperibile in maniera più estesa su cui fare affidamento. Questo approccio permette invece di dare una risposta più completa, capire se le cellule di un paziente sono sensibili o resistenti ad un certo farmaco, e se è quindi possibile e ha senso somministrarlo», continua Roti.

La Regione Emilia-Romagna ha finanziato un progetto pilota sulle leucemie acute mieloidi, dove sono stati catalizzati tutti i centri ematologici regionali, che applicheranno la versione 2 di questa piattaforma: i pazienti con recidiva verranno convogliati, analizzati e le informazioni ricavate verranno messe a disposizione dei clinici per individuare la terapia più appropriata. Il programma poi espande questa piattaforma anche ad altri tipi di condizioni e amplia le tecnologie disponibili.

«È un’attività che ci riposiziona all’interno di percorsi sviluppati nei paesi europei e nord europei, dove queste piattaforme esistono e stanno diventando un percorso valido in tante situazioni, integrati nei diversi servizi sanitari nazionali, con un miglioramento rispetto ai trattamenti standard basati su parametri non funzionali», dice Roti.

L’impatto sul potenziale beneficio della cura è visibile anche a livello economico. Molte delle molecole presenti in questa libreria sono farmaci assumibili per via orale, che quindi non richiedono condizioni particolari per la somministrazione, come ad esempio il ricovero. Razionalizzazione, inoltre, può significare anche fare scelte di non trattamento, o di trattamenti palliativi, ma su base assolutamente ragionata e con informazioni oggettive, con un conseguente contenimento anche a livello dei costi.

Per l’area clinica cambia il paradigma di come viene inteso il trial clinico. Si ragiona inizialmente sui singoli pazienti, ma con la raccolta e l’analisi di dati funzionali su ognuno di essi si può arrivare nel tempo a fare predizioni su una popolazione più estesa.

Abbiamo inoltre chiesto al Prof. Roti come l’ecosistema regionale contribuisce attualmente e come potrà farlo in futuro.

«L’analisi dei dati è sicuramente un punto fondamentale”, dice Roti. «E’ molto complessa ed eterogenea, in quanto si integrano dati molto diversi tra loro: basti pensare che il dato che riguarda la presenza o l’assenza di mutazione è binario, mentre quello della risposta farmacologica è continuo e si sviluppa in un arco temporale. L’integrazione di dati per dare risposta ai clinici è molto complessa e sarà sempre più necessario un supporto sull’interpretazione di questi dati».

La stessa Fondazione IFAB (International Foundation Big Data and Artificial Intelligence for Human Development), ad esempio, sta supportando il laboratorio THEC per lo sviluppo di questa piattaforma e , per la capacità di calcolo, ma anche CINECA, partner del progetto, sarà coinvolto.

Una grande sfida, inoltre, è quella di allargare questo programma, che deve diventare strutturale e integrato in una condizione in cui la scelta della terapia viene centralizzata e fatta dal sistema sanitario nazionale stesso. Non è infatti pensabile portare avanti un’attività di questo tipo all’interno di spazi universitari, è necessaria una struttura più ampia, anche a livello organizzativo, che esuli dal singolo laboratorio.

Altro punto interessante è l’integrazione con il mondo biotech e biopharma. «Siamo abituati a clinical trial in cui, purtroppo, una parte dei pazienti testati non risponderà al trattamento proposto, ma questo sta diventando un problema sempre più ampio perché spesso non c’è un numero di pazienti sufficiente per raggiungere la significatività di tipo statistico richiesta». Disporre di questa tecnologia in maniera più estesa diventerebbe, quindi, un approccio utile e razionale, soprattutto per le piccole realtà con pochi farmaci in pipeline, per identificare a priori i pazienti che potrebbero  entrare nel trial perché maggiormente suscettibili. Questo permetterebbe anche di ottimizzare i costi del trial clinico, che rappresentano una parte importante di tutto il processo.

Oltre all’inserimento dei propri farmaci in pipeline, inoltre, un altro fronte di collaborazione riguarda lo sviluppo di devices e sistemi di HTS per accelerare il processo, che funziona molto bene nel caso di leucemie, meno nei tumori solidi, per cui la separazione e selezione delle cellule è più complicata. Qui c’è ampia possibilità di sviluppo di nuove tecnologie e spazio di manovra per immaginare test: incrementare la miniaturizzazione, utilizzare un numero minore di cellule, abbassare i costi e disporre di materie prime e strumenti che attualmente sono comprate direttamente sul mercato e che spesso in italia si trovano da poche aziende. Se all’estero infatti c’è una maggior offerta sui prodotti utili a questo tipo di processo, in Italia è ancora molto ridotta: un esempio di questo sono le piastre utilizzate per il posizionamento delle cellule tumorali, molto usate all’estero per le tecnologie esistenti, molto meno in Italia. Dalla separazione del campione alla conservazione, tutta la pipeline di studio rappresenta un grande potenziale in questo senso, soprattutto in Italia dove non abbiamo una tradizione consolidata su centri di screening ad alta prestazione e dove quindi c’è poco mercato a livello tecnologico.

Il progetto rappresenta un modello di sinergia vincente nella collaborazione tra Università di Parma e Azienda Ospedaliero-Universitaria, sia a livello scientifico e clinico ma anche a livello di organizzazione e gestione degli aspetti amministrativi, economici e logistici legati alla presentazione e gestione di progetti congiunti tra le due realtà. Ci auguriamo che rappresenti uno stimolo di sviluppo ancora maggiore e che funga da volano per l’attivazione e il coinvolgimento di nuove linee di sviluppo tra gli attori regionali del settore scienze della vita.

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